Apprendimento della lingua inglese: 4 strategie per l’inclusione

 


Ciò che rende inclusivo un ambiente di apprendimento è per larga parte la metodologia adottata dal docente, perché questa può rendere più semplice l’acquisizione di una conoscenza (Caon 2016). Per questo motivo è necessario partire sempre dal principio che lo studente sia il focus primario di un’azione didattica. Dopo l’emanazione della legge n. 170/2010, gli insegnanti hanno avvertito sempre di più la necessità di formarsi per fronteggiare il trattamento, nella didattica quotidiana, dei BES e di tutti coloro che presentano un bisogno specifico di apprendimento all’interno della classe. In questo senso, i docenti di lingua straniera, come tutti gli altri, si sono avvalsi di strumenti compensativi e strategie di insegnamento volti ad adattare e migliorare l’intervento educativo, ostacolato dall’eventuale deficit. 

 

Le metodologie inclusive per l’insegnamento della lingua inglese devono essere rivolte non solo agli alunni con particolari difficoltà ma all’intero gruppo classe e devono essere diversificate e finalizzate alla riduzione dei modi tradizionali di fare didattica (lezione frontale, ripetizione e memorizzazione di nozioni, regole e lessico), in modo che venga valorizzato e sfruttato al meglio il potenziale di ciascun alunno. La capacità di rendere la didattica flessibile e innovativa riguarda l’abilità del docente di adattare il metodo di insegnamento, sia in fase di progettazione che durante la didattica in classe, alle diverse capacità di apprendimento degli studenti. Ciò avviene tramite la scelta di attività creative che stimolino la capacità di ragionamento, di rielaborazione e di memoria sfruttando le particolari abilità degli alunni; attività come il brainstorming, la creazione di mappe mentali e attività di tipo laboratoriale si rivelano estremamente efficaci per coloro che presentano difficoltà e in generale sono da considerarsi valide e vantaggiose per tutta la classe nel complesso.  

Nell’ottica di una didattica sempre più incentrata sullo studente e sui suoi bisogni, tanto nella scuola primaria quanto nella scuola secondaria sorge la necessità di superare gli approcci tradizionali di tipo nozionistico a favore di una didattica innovativa, che concili le risorse a disposizione con gli effettivi bisogni formativi degli studenti. 

Considerati i due differenti gradi di istruzione, le strategie ritenute tra le più efficaci per garantire una piena partecipazione attiva del discente al lavoro svolto in classe e non solo, sono: la didattica cooperativa, il peer tutoring, l’approccio multisensoriale e la flipped classroom

 

Il metodo del lavoro cooperativo è incentrato sulla creazione di micro-gruppi di lavoro all’interno della classe, che cooperano con un obiettivo comune. Cooperazione non vuol dire solo che ognuno fornisce il suo contributo, ma che adatta questo contributo a quello degli altri, secondo un’ottica orizzontale studente-studente. Per fare in modo che gli studenti cooperino, il docente ha il compito di facilitare e condurre il gruppo, proponendo attività motivanti e stimolanti ed educando alla cooperazione sociale efficace (Caon 2016). Il metodo del lavoro cooperativo è particolarmente indicato e utile all’interno delle Classi ad Abilità Differenziate (CAD) e in presenza di studenti che presentano un BiLS, in quanto consente di rendere più accessibile la glottodidattica attraverso il coinvolgimento degli studenti all’interno di un gruppo, stimolando la motivazione alla partecipazione. 

 

 

Il metodo del peer tutoring invece si riferisce al tutorato tra pari. Come afferma Dolci (2006:62) infatti «l’apprendimento è una pratica sociale», avviene grazie al dialogo, alla cooperazione e alla negoziazione dei significati all’interno di relazioni di qualità (Caon 2016:13). In questa prospettiva, dunque, il docente non è l’unica fonte di conoscenze e di trasmissione del sapere, gli studenti sono tutti portatori di conoscenze e abilità e ognuno di essi può contribuire ad un apprendimento significativo fondato sulla reciprocità. 

Il peer tutoring promuove inoltre un apprendimento in cui è meno attiva la componente emotiva negativa, che è tipica dell’interazione tra studente e docente, in quanto si sviluppa una relazione maggiormente empatica tra studente e studente. Il tutorato tra pari non costituisce un vantaggio solo per lo studente che viene aiutato, bensì è risorsa anche per coloro che si ritrovano a dover rielaborare ed adattare i concetti già appresi per trasmetterli ad un proprio pari. Infatti, un altro aspetto rilevante è che questo metodo consente allo studente di attivare meccanismi cognitivi ma soprattutto metacognitivi: essendo responsabile della spiegazione di determinati concetti ad un suo pari, lo studente sviluppa strategie di comunicazione efficace e di ragionamento per trasmettere conoscenza. Lo studente, inoltre, sviluppa un forte senso di responsabilità e di autoconsapevolezza delle proprie capacità. Infatti, il tutorato tra pari permette di accrescere l’autostima e di migliorare la percezione e la fiducia che uno studente ha nei propri confronti (Caon 2016:76-79). 

 

 

Il Ministero dell’Istruzione pone l’accento sulla valorizzazione dell’aspetto comunicativo e sulla pragmatica, cioè sulla capacità di agire con la lingua, di farsi comprendere a prescindere dalla correttezza grammaticale del messaggio. Tuttavia, non si può prescindere dall’acquisizione di alcune nozioni e strutture linguistiche e lessicali (Aiello et al. 2013), che completano il quadro della competenza comunicativa che un parlante possiede in una lingua. Per fare in modo che determinate strutture lessicali o sintattiche vengano acquisite e automatizzate si può fare ricorso all’approccio multisensoriale

Derivante dalla collaborazione tra il medico statunitense Samuel T. Orton e la psicologa ed educatrice Anne Gillingham, questo approccio, applicato poi alla lingua inglese, si basa su tecniche che portano gli studenti a percepire l’input linguistico mediante il ricorso a più di un canale sensoriale, facendo sì che si realizzi simultaneamente un’elaborazione visiva, uditiva e tattile-cinestesica dell’informazione. L’approccio multisensoriale nasce dall’osservazione di studenti con dislessia che presentavano difficoltà nell’associazione tra forma grafica e rispettivo suono delle parole. In termini pratici, l’approccio consiste nel mostrare una carta con il simbolo di un suono che viene pronunciato lentamente e in modo chiaro dal docente di lingua per poi essere ripetuto dai bambini. Successivamente questi ultimi devono fornire una parola chiave che contenga quel determinato suono e che stimolerà la memorizzazione. Infine, l’insegnante mostra come quella parola chiave è scritta; i bambini in seguito la copiano e la scrivono poi a memoria. Questo metodo, che si basa sulla creazione di una consapevolezza fonemica, permette ai bambini con particolari difficoltà nella decodifica del testo scritto e nell’associazione tra quest’ultimo e il corrispettivo fonologico, di creare delle particelle di lingua scritta e orale, all’interno del loro sistema simbolico, in modo che venga prodotta poi un’associazione tra la forma grafica e quella fonologica, attraverso il canale visivo-uditivo e grazie anche al movimento. Una volta che i singoli suoni sono stati acquisiti, gli studenti saranno in grado di combinarli in sillabe e parole di senso compiuto. Dunque, i bambini che presentano DSA, attraverso l’approccio multisensoriale, riescono ad acquisire più facilmente l’abilità di lettura ascoltando, vedendo, pronunciando e scrivendo i suoni delle parole (Aiello et al. 2013). 

 

 

Il modello di didattica della flipped classroom è uno dei modelli più efficaci, insieme a quello del cooperative learning, per ottenere un coinvolgimento attivo da parte degli studenti all’interno di una CAD. Il significato dell’espressione flipped classroom, “classe capovolta”, indica infatti un modello di insegnamento rovesciato, per cui è lo studente che conduce l’azione didattica, ponendosi come protagonista attivo nell’esporre ai compagni e all’insegnante un argomento, spesso con l’aiuto di presentazioni da lui create. Secondo questo metodo, dunque, non è il docente la fonte primaria di nozioni, ma lo studente, che deve creare e strutturare da sé la propria conoscenza, da trasmettere ai compagni. Promuovere il modello della flipped classroom può agevolare gli studenti nelle fasi di fissazione e memorizzazione dei contenuti; infatti, come nel caso del peer tutoring, lo studente deve cimentarsi nella spiegazione di un argomento ai compagni e fare in modo che questi lo comprendano; deve inoltre essere pronto a rispondere ad eventuali domande e deve cercare di attirare l’attenzione del gruppo classe, promuovendo il coinvolgimento attivo di tutti. Lo studente-insegnante in questo contesto ha la possibilità di preparare prima quando esporre, in modo da minimizzare l’ansia da prestazione. Il metodo della flipped classroom non esclude ovviamente il supporto da parte del docente, che assume in questo caso il ruolo di facilitatore, sia nella fase di scelta dell’argomento e di reperimento dei materiali, sia nella fase di esposizione (Benassi et al. 2016). 

Lo svolgimento della didattica secondo il modello del flipped learning può essere messo in atto anche secondo la modalità del cooperative learning, organizzando piccoli gruppi di lavoro che di volta in volta assumeranno il ruolo di insegnanti (Bevilacqua, Bergmann 2018). In questo caso, la modalità didattica in questione risulta vantaggiosa soprattutto per coloro che presentano delle difficoltà e che rientrano nella macrocategoria degli studenti con BES: questi, supportati dai compagni, secondo la modalità del peer tutoring, avranno la possibilità di essere maggiormente partecipi delle attività svolte in classe e riusciranno ad assimilare gli argomenti in maniera spontanea, facendo leva sulle proprie potenzialità e minimizzando le problematiche legate ad un particolare deficit. 

In conclusione, il modello didattico della flipped classroom offre «l’opportunità di trasformare la classe da spazio di trasmissione dei saperi dal docente ai discenti in comunità di apprendimento e di ricerca» (Brown e Campione 1990; Cacciamani e Giannandrea 2004, in Benassi et al., 2016, p. 9) e promuove lo sviluppo «della loro autonomia e della loro capacità di lavorare con gli altri» (p. 9).  

 

 

 

Bibliografia 


Aiello P., Di Gennaro D. C., Di Tore S., Sibilio M. (2013), Dislessia e complessità didattica della lingua inglese nei contesti scolastici italiani: proposta di un approccio multisensoriale ed interattivo“Italian Journal of Special Education for Inclusion”, 1(2), 107-122.

Benassi, A., Bucciarelli, I., Laici, C., Pieri, M. et al. (a cura di) (2016), “Avanguardie educative”. Linee guida per l’implementazione dell’idea “Flipped classroom (La classe capovolta)”, versione 1.0 [2015-2016], Indire, Firenze. 

Bevilacqua A., Bergmann J. (2018), “Innovate teaching practices to cope with educational fragilities. How can flipped learning help teachers to reach every student, in every class, every day”, in Iprase (2018), Ricercazione: prevenire il fallimento educativo e la dispersione scolasticaSix-monthly Journal on Learning, Research and Innovation in Education, vol.10, n.2, Trento, Provincia Autonoma di Trento Editore.


Caon F. (2016), Educazione linguistica nella classe ad abilità differenziate, Torino, Bonacci editore. 

Dolci R. (2006), “La partecipazione nella classe di lingua”, in Caon F. (a cura di), Insegnare italiano nella Classe ad Abilità Differenziate, Perugia, Guerra. 

 







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